Dopo quasi 50 anni sembra che per
la cooperazione allo sviluppo sia arrivata la crisi di mezza età, una crisi d’identità?.
Nel mondo, come in Italia per il Forum Cooperazione, si moltiplicano iniziative
più o meno istituzionali per ragionare sul futuro della cooperazione
internazionale, tutti guardano alla data fatidica del 2015 quando qualcuno
dovrà fare il bilancio alla scadenza degli obiettivi del Millennio. Le Nazioni
Unite iniziano a lavorare su Beyond 2015…ovvero come rilanciare la lotta alla
povertà, come disegnare un futuro all’aiuto allo sviluppo? Sarà difficile
parlare di obiettivi raggiunti anche se in diversi campi i numeri mostrano
sensibili miglioramenti. Certo dal 2000 ad oggi lo scenario globale, soprattutto
quello economico, è cambiato parecchio. Il peso dei paesi Bric (Brasile,
Russia, India e Cina) sul Pil mondiale è passato dall’11% all’attuale il 25%.
Questa crescita economica dei BRIC sta rovesciando ogni logica anche nelle sedi
istituzionali transnazionali anche se i paesi del nord stentano a prenderne
atto.
Pensate solo a cosa rappresenta
oggi la Cina per Africa, agli investimenti massicci nel settore privato e nelle
infrastrutture. Accanto a dove la cooperazione cerca di sostenere le comunità dei
paesi del sud in faticosi percorsi di sviluppo, la Cina costruisce linee
elettriche, telefoniche, strade, stadi di calcio e palazzi a vetri in pochi
mesi. In cambio porta via materie prime ed energia per la sua vorace economia.
Diversi teorici del settore
sostengono che la crisi d’identità della cooperazione allo sviluppo sia causata
dalla fine di un generale, onnicomprensivo paradigma della povertà. Oggi non
esiste più una narrativa globale della povertà e lo dimostrano le cronache
delle economie emergenti che solo pochi anni fa stavano lottando per evitare la
morte per fame di milioni di loro cittadini. Oggi sfornano nuove élite e classi
medie e stanno sfidando il concetto di ciò che è definibile un paese povero.
Che sia invece la fine di un
sistema? Siamo pronti a dismettere i panni dei ricchi e caritatevoli donatori?
Siamo pronti a pensare ad altro rispetto al fund raising? Siamo pronti a
imparare qualcosa e non impartire solo lezioni? Le ONG sono pronte a mettere in
discussione il loro ruolo di intermediari tra donatori e partner locali e
uscire dalla logica del progettificio?
Lo dice bene anche Federico
Marcon in un post del suo blog del Fatto Quotidiano individuando alcuni punti
chiave dell’attuale dibattito sulla cooperazione. C’è un’alternativa, in tempi
di crisi dei bilanci statuali, alla consunta promozione del partenariato
pubblico-privato? In un futuro (o presente) in cui i donatori finanziano
direttamente le organizzazioni del sud, le ONG europee perderanno il loro ruolo
o riusciranno a definire alcuni ambiti di intervento specifici in cui
specializzarsi? Il Governo italiano dei tecnici che ha affrontato di petto le
riforme del lavoro e delle pensioni riuscirà a dare una spallata al sistema
della cooperazione?
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