lunedì 25 giugno 2012

Cooperazione, crisi d’identità o di sistema?


Dopo quasi 50 anni sembra che per la cooperazione allo sviluppo sia arrivata la crisi di mezza età, una crisi d’identità?. Nel mondo, come in Italia per il Forum Cooperazione, si moltiplicano iniziative più o meno istituzionali per ragionare sul futuro della cooperazione internazionale, tutti guardano alla data fatidica del 2015 quando qualcuno dovrà fare il bilancio alla scadenza degli obiettivi del Millennio. Le Nazioni Unite iniziano a lavorare su Beyond 2015…ovvero come rilanciare la lotta alla povertà, come disegnare un futuro all’aiuto allo sviluppo? Sarà difficile parlare di obiettivi raggiunti anche se in diversi campi i numeri mostrano sensibili miglioramenti. Certo dal 2000 ad oggi lo scenario globale, soprattutto quello economico, è cambiato parecchio. Il peso dei paesi Bric (Brasile, Russia, India e Cina) sul Pil mondiale è passato dall’11% all’attuale il 25%. Questa crescita economica dei BRIC sta rovesciando ogni logica anche nelle sedi istituzionali transnazionali anche se i paesi del nord stentano a prenderne atto.
Pensate solo a cosa rappresenta oggi la Cina per Africa, agli investimenti massicci nel settore privato e nelle infrastrutture. Accanto a dove la cooperazione cerca di sostenere le comunità dei paesi del sud in faticosi percorsi di sviluppo, la Cina costruisce linee elettriche, telefoniche, strade, stadi di calcio e palazzi a vetri in pochi mesi. In cambio porta via materie prime ed energia per la sua vorace economia.
Forse non è solo una crisi d’identità? Forse la cooperazione come molti la concepiscono è ormai fuori dal contesto globale? La novità è che il così detto Nord non più al centro del mondo e che il nostro benessere non è più così scontato. Probabilmente è finito il tempo in cui la solidarietà internazionale era unidirezionale, come fosse un flusso ininterrotto dagli eterni ricchi agli eterni poveri e non la possibilità di uno scambio paritario di relazioni, valori, esperienze, capitali (vedi Unimondo, Solidali in tempo di crisi).
Diversi teorici del settore sostengono che la crisi d’identità della cooperazione allo sviluppo sia causata dalla fine di un generale, onnicomprensivo paradigma della povertà. Oggi non esiste più una narrativa globale della povertà e lo dimostrano le cronache delle economie emergenti che solo pochi anni fa stavano lottando per evitare la morte per fame di milioni di loro cittadini. Oggi sfornano nuove élite e classi medie e stanno sfidando il concetto di ciò che è definibile un paese povero.

Che sia invece la fine di un sistema? Siamo pronti a dismettere i panni dei ricchi e caritatevoli donatori? Siamo pronti a pensare ad altro rispetto al fund raising? Siamo pronti a imparare qualcosa e non impartire solo lezioni? Le ONG sono pronte a mettere in discussione il loro ruolo di intermediari tra donatori e partner locali e uscire dalla logica del progettificio?
Lo dice bene anche Federico Marcon in un post del suo blog del Fatto Quotidiano individuando alcuni punti chiave dell’attuale dibattito sulla cooperazione. C’è un’alternativa, in tempi di crisi dei bilanci statuali, alla consunta promozione del partenariato pubblico-privato? In un futuro (o presente) in cui i donatori finanziano direttamente le organizzazioni del sud, le ONG europee perderanno il loro ruolo o riusciranno a definire alcuni ambiti di intervento specifici in cui specializzarsi? Il Governo italiano dei tecnici che ha affrontato di petto le riforme del lavoro e delle pensioni riuscirà a dare una spallata al sistema della cooperazione?

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